La Calabria è da secoli oggetto del fenomeno migratorio. Dopo essere divenuta meta privilegiata di greci, romani, bizantini, spagnoli, turchi ha conservato l'irrequietezza del moto e molti dei suoi abitanti l'hanno lasciata in cerca di nuovi scenari.
Dagli anni '50 del Novecento questo fenomeno è diventato molto importante, portando ad un vero e proprio di borghi nei quali la natura ha ripreso il sopravvento sostituendosi alla presenza antropica.
Il motivo per cui ha senso parlare di borghi è proprio questo: quei luoghi ci appartengono e noi apparteniamo a loro. Dalle sommità di quei cucuzzoli si respira storia, memoria e incanto.
Ci si riappropria di una parte di vissuto locale molto spesso occultata. Ed è quello che farete seguendo il mio blog: conoscere, per poi poter vivere l'esperienza.
La posizione dei borghi: periferie e centro
La Calabria è considerata nella vulgata contemporanea come un punto periferico, come un luogo distante da raggiungere. C'è da chiedersi anzitutto qual è il nostro punto di partenza, la nostra visione. Lontana rispetto a cosa? Come più volte sottolinea un noto antropologo calabrese, Vito Teti, la posizione della nostra terra è stata nei secoli passati di vitale importanza. Essa ha consentito di mantenere consistenti rapporti commerciali, pur partendo dagli stessi piccoli borghi. Cos'è cambiato? Come invertire questa tendenza? Questi restano interrogativi aperti a cui daremo voce nei prossimi post.
Per approfondimenti si legga Terra inquieta: per un'antropologia dell'erranza meridionale. Vito Teti, Rubbettino, 2015.
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